Rossella Bartolomei

Far di Ferita Virtù

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L’altra metà del cielo radioso dell’amore è il vuoto nero dell’abbandono, chi non si districa tra i due emisferi  nel momento in cui è coinvolto in una relazione significativa?

Ci ritroviamo ad essere funamboli attenti al passo e ad ogni passo consapevoli che comunque sia potrebbe essere la corda a cedere e da lì non c’è scampo al precipitare….per alcuni il vuoto è più  profondo, la minaccia più terrificante. Spesso ad avvertire maggiormente la paura della fine o il rischio di abbandono sono le donne.

Probabilmente in questa differenza tra sessi incidono elementi di carattere socio-culturale che hanno  influito su modelli di realizzazione  personale, quello maschile più legato ad un affermazione in campo sociale-lavorativo, quello femminile all’ambito delle relazioni.

Per quanto la questione meriterebbe un ampio spazio, proseguire all’indietro nella ricerca delle cause ci allontanerebbe dall’esperienza di donne e uomini che soffrono, dall’affrontare il fenomeno della dipendenza affettiva in modo utile per orientarsi in questa complessa  forma di malessere. Obbiettivo del presente lavoro è infatti creare  un piccolo spazio di pensiero nel quale le donne e uomini, a prescindere del livello di dipendenza, possano riflettersi. A tal proposito mi sembra utile esplicitare  che l’ovvia premessa da cui muove l’articolo è che tutti siamo dipendenti dal riconoscimento e dall’amore dell’altro ma non tutti allo stesso modo. .

Per alcune persone la fame della conferma è così forte che tutti gli sforzi sono impiegati nell’aggrapparsi all’altro che ama o dovrebbe amare ……….non c’è tempo e spazio per riconoscere quanta sofferenza venga causata dal tipo di attaccamento che si contribuisce a creare e che spesso rimane una costante che resiste al variare di patners e storie.

Gli studi sull’attaccamento hanno in gran parte chiarito come  le precoci relazioni con le figure di riferimento influenzino in modo decisivo  gli stili relazionali dell’adulto;

Ciò non significa che chi non si è sentito “benamato”  sia  predestinato al fallimento sentimentale  ma  piuttosto che il suo percorso sarà probabilmente più arduo  e  passerà  necessariamente  da se stesso al fine di arrivare all’altro in maniera più matura e equilibrata.

In realtà le prime fasi della relazione  madre-bambino rimangono senza parola e senza ricordo  in quanto avvengono nel primo anno, un periodo in cui il bambino è  totalmente dipendente dai genitori sia fisicamente che psicologicamente e non è ancora in grado di pensarsi.

I fondamenti  della fiducia verso se stessi e il riconoscimento della propria “amabilità”  affondano in buona parte  in un passato fatto di vissuti epidermici e viscerali a cui possiamo solo avvicinarsi con ipotesi narrative costruite sulla storia successiva.

Come largamente esplorato dagli studi sull’allattamento e sulle interazioni della diade  il continuo dialogo intercorporeo  che si svolge nei primi mesi rimane in gran parte inconsapevole anche per la polarità adulta.

Quando il caregiver è in grado di sintonizzarsi sui bisogni e gli stati di attivazione del bambino, facilita un processo di attaccamento sicuro nel quale il bambino fa esperienza dell’adeguatezza delle risposte e crescendo apprende cioè prende con sé, questa capacità di essere un buon genitore per stesso e di conseguenza probabilmente per i figli.

La mancata sintonizzazione sugli stati vitali del bambino favorisce lo stabilirsi di un attaccamento insicuro e ansioso nel quale difficilmente il bambino farà esperienza di un sè “benvoluto”  nè  potrà apprendere a riconoscere e a  rispondere adeguatamente ai propri bisogni. Di solito fin da piccoli questi bambini mostrano maggiori difficoltà nel processo di acquisizione dell’autonomia, nella gestione delle separazioni così come nella vicinanza affettuosa;

Da lì può svilupparsi la vocazione all’aggrappamento o al contrario ad un ritiro difensivo dalla sfera affettiva.

Ciò non vuol dire che lo sviluppo del bambino richieda la perfezione genitoriale, Winnicott parla di rapporti sufficientemente buoni. Le problematiche affettive non si radicano su sporadici episodi di mancato ascolto ma sulla  quotidianità  ad esempio sul ripetersi di reazioni rigide all’ espressione del disagio o di risposte  discontinue o inadeguate alla fame, al sonno, al bisogno di contatto.

In particolare la modalità di  contatto, l’esperienza di accogliere ed essere accolti,  è una variante che permea tutti gli scambi colorandoli di piacere o dispiacere ed è difficilmente riconoscibile per l’adulto che porta nel rapporto con il bambino anche una relazione con se stesso nata prima della propria coscienza.

Così facilmente la qualità della relazione si tramanda di generazione in generazione senza essere riconosciuta e pensata.

L’imperativo di volersi bene ripetuto come un mantra da chi soffre di maldamore non può essere coltivato  in un corpo che non si è sentito accolto; sarebbe come voler ristrutturare una casa partendo dal tetto. Le fondamenta sono nel primo appoggio che abbiamo sperimentato ed è quindi dall’appoggio che ci diamo che può partire una “ristrutturazione”.

É per noi difficile immaginare la modalità globale con il quale il bambino vive l’esperienza prima di differenziarla in percezioni, emozioni, pensieri  ma è in quel magma arcaico che sono radicati i nostri vissuti più viscerali laddove tenere e lasciare, appoggiarsi e precipitare hanno a che fare con  la sopravvivenza globale (psicologica e fisica). Il contenitore psicologico si viene man mano formando nel processo di riconoscimento dell’altro, l’adulto che guarda il bambino, lo riflette prima ancora che lui abbia coscienza di esistere. Lo specchio fornito dalle figure di attaccamento  non può quindi non influenzare il pensarsi del futuro adulto. Senza immaginare  queste dimensioni impensabili della prime fasi dell’esistenza difficilmente potremmo accogliere le angosce abbandoniche  che sfuggono alle logica e sono irriducibili a problemi da risolvere.

Non si risolvono i buchi.

L’ostinazione a riempire la fame di conferma e amore nel rapporto con un altro porta spesso uomini e donne a rapporti insoddisfacenti ,ripetuti abbandoni, non di rado violenze anche perchè non si riconosce  l’altro per ciò che è o porta nella relazione ma piuttosto lo si “ingurgita”o ci si lascia “ingurgitare” nel tentativo di colmare un incolmabile vuoto affettivo. In questi rapporti non c’è possibilità di apprendere un nuovo  rapporto con se stessi, cosa invece possibile nel caso in cui si sviluppi in età adulta un legame di attaccamento di tipo diverso improntato sul reciproco riconoscimento. 

Possibile ma molto difficile per chi è mosso dall’urgente bisogno di riempirsi dell’altro.

Solitamente in questi casi il percorso è un pò più lungo e l’accogliere la propria ferita è il primo passo di un lento allenamento a prendersi cura di sé, a coltivare spazi che siano nutrienti e soddisfacenti nel lavoro, nel tempo libero, nelle relazioni imparando a riconosce bisogni, stati emotivi, livello di piacevolezza e spiacevolezza.

È un pò come diventare sommmelier della vita e affinare il gusto per l’esperienza convivendo con un implacabile sete.

A volte le persone trovano utile partire da un un ritorno al corpo fatto di ascolto e attenzione, senza pretese e senza giudizi. Sembra facile ma non è scontato. Può accadere che training psico-corporei preconfezionati orientati al volersi bene allontanino  da un autentico contatto  in quanto la persona si ritrova incastrata nel paradosso del non sentirsi abbastanza adeguata a lasciarsi andare ripetendo così gli automatismi giudicanti dei quali voleva liberarsi.

 É esperienza comune, ad esempio, che l’invito a portare attenzione al respiro venga automaticamente tradotto in una modificazione dello stesso, come se la persona si sentisse immediatamente rimproverata di non farlo abbastanza bene.

Anche la parte che  rimprovera  e cerca, per tornare all’esempio,  di fare la brava respiratrice ha bisogno di essere  accolta e accettata; è arrivata da una storia in cui ha cercato di fare il possibile per esser voluta bene  e nel qui e ora non può portare altri bagagli esperienziali se non questo del quale non si può non riconoscere la forza e la tenacia.

In alcuni casi sono i  percorsi  spirituali e/o terapeutici ad  offrire  contesti adeguati di apprendimento  nei quali fare  esperienza  di un’ accettazione più ampia , che poi può essere interiorizzata in una  base di appoggio  più solida e comoda  dalla quale partire per relazionarsi in maniera più attenta, lucida e piacevole.

Con le parole di Jeremy Holmes l’individuo emotivamente autonomo non sopprime i propri sentimenti,incluso il bisogno di dipendenza ma li riconosce,gestendoli anzichè venendone gestito.

È un  cammino che tutti ci troviamo a fare, ognuno a suo modo. Il confronto con il limite e la mancanza è un elemente indispensabile, anche nelle prime fasi dello sviluppo,  per crescere e separarsi, apprezzando i vantaggi di una maggiore autonomia.Chi è stato meno amato o aveva bisogno di una amore diverso da quello che gli è stato dato forse si confronta in modo più disperato con la dipendenza, tuttavia ha anche la grande opportunità di trasformare la grande spinta verso l’altro in un motore propulsivo di cambiamento. 

Probabilmente non si potrà mai “accomodare” nella relazione ma potrà  far di “ferita” virtù imparando a coltivare in modo attento la propria sfera affettiva.

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